Sono parecchie settimane che penso a un articolo letto in rete: 3 donne che hanno deciso di bloccare consapevolmente il proprio ciclo mestruale a tempo indefinito per favorire la loro carriera.
I dolori mestruali e i fastidi di quei giorni avrebbero infatti ostacolato le loro performance sul lavoro, rendendole meno efficienti, performanti, e facendole sentire in colpa e diverse rispetto ai colleghi.
È un riflessione strana, perché ci sono diversi aspetti di me stessa che si mischiano.
Prima di tutto, sono una Moon Mother: aiuto le donne a diventare consapevoli del proprio ciclo femminile (che non è solo le mestruazioni!), le sostengo nel prendere il ritmo delle diverse fasi, e nell’integrare le energie e gli archetipi corrispondenti nella vita quotidiana.
Secondo aspetto, in passato anche io ho sospeso il ciclo per un anno. Anche se è stata una decisione dettata da ragioni di salute, non nego si sia rivelata anche una piacevole vacanza dagli alti e bassi delle maree ormonali.
Di sicuro poi sono favorevole alla libertà di gestire e autodeterminare il proprio corpo e non mi piace la visione fatalista (e nemmeno troppo celatamente patriarcale) per cui “siccome la Natura ha stabilito così, così deve essere” (della serie: “Donna, partorirai con dolore!”). Trovo sia l’ennesimo trucchetto per continuare a confinare le donne eternamente in panchina, facendo leva su paure e angosce per i possibili rischi.
Invece vedere delle giovani donne in grado di scegliere le loro priorità, di focalizzarle e portarle avanti mi entusiasma. Forza, ragazze!
Eppure questa esplosione di libertà mi lascia più il gusto della sconfitta che altro.
Un po’ come mi fanno sentire le donne “finalmente libere” di farsi fotografare nude per riviste e calendari (per il piacere di chi?).
Perché mi sembra che il risultato ottenuto sia stato piegarsi ai valori, ai criteri e alle aspettative della società (maschile, competitiva, capitalista) in cui queste 3 donne si trovano a vivere. Ed io (e tu) con loro.
Tutti sono pronti a dirti cosa significa essere una donna, come deve apparire e comportarsi, cosa bisogna sentire e pensare. E quasi sempre è quello che gli uomini hanno stabilito.
Una volta un’amica mi raccontò di un matrimonio a cui aveva partecipato, in cui l’officiante continuava a ripete “l’essere umano femminile” piuttosto che dire DONNA. Forse la parola lo spaventava un po’. Forse gli suonava troppo estrema, troppo sessualizzata dato anche il contesto religioso.
Mi sembra che in questa società ci sia decisamente ancora poco spazio per la donna e la sua alterità (rispetto al modello maschile dominante). Soprattutto poi se pensi che siamo donnE, al plurale: ognuna è portatrice sana di diversità e sfumature tutte sue.
La situazione a volte sembra veramente desolante.
Il mio desiderio è che in un futuro possibile, se il sistema socialmente creato discrimina ed è problematico per la maggior parte degli esseri umani (quella femminile, per l’appunto), non sia questa a doversi così profondamente snaturare, ma sia l’ambiente a poter essere modificato. Per il benessere di tutti.
You may say I’m a dreamer. But I’m not the only one.